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Pensione: cosa possono fare i precari per aumentarla

C'è una città poco più grande di Firenze che invecchiando rischia di finire in povertà: è quella dei circa 400.000 italiani che fanno lavori precari.
Per loro la pensione integrativa resta ancora un miraggio, pur restando l'unica via per ottenere un assegno pari a quello dei lavoratori dipendenti.
Accanto a quello che già versano ogni anno all'Inps o ad altri enti previdenziali, in cui vengono iscritti nelle gestioni separate, i precari dovrebbero infatti destinare ogni mese una parte del loro stipendio ai fondi pensione complementari o metterla in prodotti equiparati.
Investimenti che dopo 30 - 40 anni sono in grado di aumentare il proprio assegno pensionistico quel tanto che basta per mantenere lo stesso tenore di vita una volta ritirati dal lavoro.
Una scelta che però fanno ancora in pochissimi. Già, perché la maggior parte dei co.co.co e co.co.pro, che hanno oggi un'età compresa tra i 18 e i 40 anni, continuano a viaggiare alla cieca.
Da una ricerca condotta due anni fa dal fondo americano BlackRock e YouGov su oltre 2.000 investitori italiani, era emerso come il tema della previdenza integrativa fosse ancora poco sentito, tanto che per il 41% degli intervistati la responsabilità della pianificazione della pensione ricadeva sullo Stato, mentre il 53% aveva dichiarato di non fare nulla in previsione della pensione.
Del resto nessuno, in via ufficiale, ha detto che il loro assegno pensionistico sarà pari a meno della metà dell'ultimo stipendio e, quindi, di poco superiore al sussidio minimo.
La "busta arancione", ossia la comunicazione ufficiale dell'importo del futuro assegno in base a quello che si è versato, come fanno gli enti previdenziali scandinavi, l'Inps non l'ha mai spedita.
E forse mai lo farà (l'ex presidente dell'Inps Mastrapasqua, in merito, parlò senza mezzi termini di "rischio di sommovimento sociale se dovessimo dare la simulazione della pensione").
A colmare la lacuna ci hanno pensato però negli ultimi anni i sindacati e alcune società di consulenza: la Cgil in epoca pre – Fornero per i precari stimò in media un assegno di poco superiore a 400 euro, mentre nelle più recenti proiezioni di Progetica, divulgate poche settimane fa dal Corriere della sera, la cifra sale a 670 euro per un 30enne parasubordinato, dopo 40 anni di contributi (considerando l'ultimo reddito di 1.370 euro e l'ipotesi di qualche interruzione contrattuale) e a 590 euro per un co.co.co (ultimo stipendio 1.240 euro al mese) dopo 40 anni.
Numeri che danno un'idea di massima di quello che sarà il futuro per migliaia di lavoratori, anche se ogni storia lavorativa è un caso a sé.
Ma quanti soldi bisogna mettere da parte per avere una rendita almeno pari all'attuale stipendio? In generale, vale la regola che prima si inizia a risparmiare e meno si è costretti a versare ogni mese.
Costruirsi una pensione integrativa, infatti, costa: secondo una recente stima di Axa Mps, per ottenere una rendita integrativa di 500 euro al mese, un trentenne ne deve versare circa 300 ogni mese (che sono molti, visto che gli stipendi dei precari in media superano di poco i 1.000 euro), mentre a un quarantenne ne occorrono oltre 400 e a un cinquantenne ben 600.
Del resto investire nella previdenza integrativa richiede un notevole impegno economico anche per i lavoratori "più fortunati", che hanno stipendi e quindi aspettative più alte: ad esempio, per garantirsi una rendita lorda di 27.500 euro una volta in pensione (circa 2.300 euro al mese), secondo BlackRock occorrerebbe risparmiare nella vita lavorativa (e cioè fino a 65 anni) almeno 500.000 euro, e cioè 335 euro al mese, se si inizia a farlo a 25 anni, 610 euro a 35 anni e oltre 1.200 euro a 45.

Fonte: economia.panorama.it

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